Mi ci sono voluti anni per capire che non solo il concetto di leggerezza è relativo, ma anche il concetto di risultato. La memoria dei cavalli è immensa, ciò rende questo animale straordinario più di qualunque altra sua caratteristica.
Ne ebbi la prima prova concreta anni fa, quando accompagnai Francesco a trovare la sua anziana trotter al prato. Mentre eravamo lì a chiacchierare, Francesco per gioco richiamò l'attenzione di Teresa alzando la gamba destra con il ginocchio in alto. Immediatamente la cavalla lo imitò riproponendo un esercizio che aveva imparato in un passato lontanissimo e che non eseguiva da almeno 15 anni. Era però talmente impresso nella sua memoria da tornare alla luce anche alla sua veneranda età. Rimasi colpita nell’osservare quella piccola e semplice prova di ciò che avevo solo letto sui libri.
Questa memoria incredibile, questa capacità straordinaria, però, può rivelarsi un grosso impedimento quando si parla di cavalli i cui ricordi sono traumatici. Quante volte mi hanno chiesto “ma ci sono cavalli con cui vi siete arresi?” Come se il processo di riaddestramento fosse una corsa ad ostacoli, una sfida testa a testa tra l’addestratore e il cavallo. Come se si trattasse di tagliare il traguardo oppure no.
Ensueño fu il primo cavallo che domai e addestrai
Era uno stallone lusitano che Francesco aveva comprato a prezzo di carne in seguito alla segnalazione di un amico. Aveva una brutta cicatrice sulla fronte e alle spalle un tentativo di doma violento, dentro al travaglio per le vacche, con le gambe legate. Non so quali altri maltrattamenti avesse subito, ma era una delle creature più terrorizzate che abbia mai visto nella mia vita.
La doma fu davvero complessa, Ensueño aveva scatti di panico improvvisi che mettevano pericolosamente a rischio l’incolumità del cavaliere. Ci volle tempo, pazienza e abilità per riuscire a conquistare la sua fiducia e renderlo un cavallo affidabile. A dispetto delle difficoltà caratteriali, aveva un corpo estremamente elastico e una sensibilità innata agli aiuti che mi permisero di ottenere un buon livello di addestramento in poco tempo.
Andando avanti nell’addestramento però, quando iniziai ad alzare il livello delle richieste creando una maggiore brillantezza, chiedendo un maggiore impegno, il cavallo smise di progredire. Si irrigidiva e andava in ansia, rendendomi difficile riportarlo alla condizione di decontrazione iniziale. Ci lavorai a lungo, ottenendo risultati mediocri e ovviamente dando la colpa alle mie mancanze tecniche.
Solo tempo dopo, con alle spalle l'esperienza di decine di cavalli in più, capii che per quanto la mia inesperienza avesse contribuito, il punto focale era altrove. Ensueño, con i suoi traumi e il suo delicato equilibrio psicofisico, non reggeva la “pressione” di un addestramento superiore. Semplicemente quel passaggio era troppo per lui a livello mentale, come se lo spazio fosse finito e io tentassi invano di farci stare dell’altro.
Così ho iniziato a immaginare la mente di un cavallo come un libro il cui numero di pagine è prestabilito dalla nascita
Se su 200 pagine, 150 sono state riempite di orrore, tu avrai comunque solo 50 pagine su cui riscrivere una nuova storia. Questo rende così complicato il processo di riaddestramento, in nessun caso è possibile cancellare ciò che è stato già scritto.
Se si ha la fortuna di poter riempire più di metà del libro, si potrà tornare ad avere un cavallo, passatemi il termine infelice, normale. Ma se la maggior parte delle pagine sono già state scritte in termini di tempo o di intensità, allora lo spazio su cui riscrivere sarà davvero poco.
Noi possiamo solamente fare il meglio con lo spazio che abbiamo a disposizione, dopodiché non si tratta di arrendersi, ma di evitare di creare ulteriore confusione. A discapito del nostro orgoglio, i limiti mentali di un cavallo traumatizzato vanno rispettati.
Qualcosa di simile è accaduto con Celestino
Anche lui un recupero, un libro pieno zeppo di orrori, con forse due o tre pagine bianche. Un kwpn dalla forza incredibile che acquistai a poco prezzo perché in condizioni penose. Rachitico e incline alla fuga non appena sentiva il peso di qualcuno in sella, lavorava completamente ribaltato, con la schiena rigida e l’occhio sgranato.
Dopo un periodo di riaddestramento in piano, divenne un cavallo complesso tecnicamente ma montabile alle tre andature. Riguardo al salto, la situazione di partenza era disastrosa: il cavallo non era in grado nemmeno di scavalcare serenamente una barriera al passo condotto a mano.
Ora, dopo aver visto molti cavalli da salto, penso che lo avessero torturato con pungoli elettrici perché il suo terrore alla vista di un ostacolo si spandeva nell’aria come una nube tossica. Dopo mesi di lavoro migliorò senz’altro, ma al primo minuscolo inconveniente tornava a pagina 1 lanciandosi contro i salti come una furia, esplodendo in aria con un margine di più di un metro sopra la barriera e scappando dopo in maniera totalmente incontrollata. Potevo percepire la sua angoscia totale e quella sensazione soffocava tutta la gioia per i progressi quotidiani ottenuti. Fu in uno di quei momenti che decisi di smettere completamente di farlo saltare. Qualcuno potrebbe dire ora “ma allora con questo cavallo vi siete arresi!”.
Celestino vive la sua vita da anni con Francesca, che sa come gestire un cavallo potenzialmente pericoloso per se stesso e per gli altri, che ha creato con lui un rapporto speciale fatto di piccole richieste e molta intesa. Celestino, pur essendo uno dei cavalli più traumatizzati di sempre, ha avuto un futuro, quelle due pagine bianche le abbiamo riempite di poche ma meravigliose parole. Il risultato non era determinato, come pensavo, dal riuscire a riportarlo sui campi gara a saltare. Per quanto l’orgoglio personale possa giocare un ruolo importante, il vero successo consiste nel dare una seconda possibilità, nel recuperare una vita altrimenti perduta, e no, non serve per forza che sia un capolavoro.
A cura di Giulia Barberis, per Fedda.
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