Preparati a varcare la soglia di un mondo incantato dove la perfezione dell'equitazione si unisce all'amore per creare un'esperienza senza confronti! Qui, oltre a svelare i segreti dei nostri capi, ti attendono preziosi suggerimenti per rendere ancora più speciale il tuo legame con il tuo magnifico cavallo. Pronto per un viaggio indimenticabile? Ti diamo il benvenuto nel magico mondo di Fedda!

Elvis e la sua storia

Cosa trovi in questo post

Quando arrivò la telefonata di Francesco, eravamo sedute vicino alla stufa, dopo una mattinata cominciata in box inforcando paglia e finita in sella ai vari cavalli in addestramento. Ora finalmente carboidrati e un po’ di calore per asciugare i calzini bagnati.

Lui era in Romania, vicino a Timisoara, dove il caro amico Laurentiu aveva organizzato uno stage di monta classica per far conoscere il suo strampalato maestro italiano in patria. Con grande entusiasmo gli allievi rumeni, durante una pausa pranzo, avevano accompagnato Francesco a visitare l’allevamento statale di Nonius, loro grande orgoglio. "Ti mando il video di un puledro che mi hanno fatto vedere”, l’abitudine a certi colpi di testa, la strana intonazione della voce. "Dicono sia un po’ difficile, aggressivo, non riescono a domarlo, ma si muove bene, costa pochissimo, ti dico, ha qualcosa, ha qualcosa”. Silenzio. “Non ha passato l’approvazione come stallone, è rimasto invenduto per due aste consecutive”. Ma no, ma no, abbiamo troppi cavalli, accollarsi un nuovo caso disperato in questo momento è una follia, pensai...“La prossima settimana lo macellano”. Oh cazzo!!

Quello è N36, ma noi lo chiamiamo Elvis!

Avvicinandosi all’allevamento, Francesco ascoltava il chiacchierio dei suoi anfitrioni un po’ in sordina, spossato per il freddo e le lunghe ore in sella durante lo stage, temeva che la visita si prolungasse prosciugandolo delle poche energie rimaste. Finché non vide in lontananza un vecchio carro agricolo attaccato a due nonius neri ed enormi, i ragazzetti intorno caricavano le ballette di paglia velocemente. Abbassò il finestrino ruotando la manovella e, nonostante il gelo, fu investito dall’odore forte della paglia, di quei profumi pungenti che ti prendono il naso, la gola e che ti ricordano quand’eri bambino. Si sentì rinvigorito e si drizzò con la schiena, più attento.

Quando varcò la soglia dell’immenso capannone e il profumo di paglia si fece fortissimo, rimase colpito, aveva visto un numero enorme di cavalli nella sua vita, ma quella distesa di corpi neri come la pece legati l’uno accanto all’altro erano un colpo d’occhio raro. Erano tutti puledri, gli stalloni approvati e le fattrici avevano box separati nell’altra ala dell’enorme struttura, divisi per età in lunghe file, silenziosi, composti. Il responsabile dell’allevamento fece strada attraverso il corridoio centrale indicando gli esemplari più belli, ma lo sguardo di Francesco corse subito giù in fondo, sul lato sinistro, nell' angolo poco illuminato in cui era, separato dagli altri, un cavallo, solo un po’ più alto e snello degli altri, girato di tre quarti, per nulla interessato al fieno che aveva davanti a sé. “E quello?” L’uomo sorrise. “Quello è N36, ma noi lo chiamiamo Elvis”.

Francesco scoprì in pochi minuti che quello stallone era separato dagli altri perché molto aggressivo, non era stato approvato come stallone a causa della sua indole nevrile e ombrosa molto distante dagli standard di razza dei Nonius, razza ungherese di natura docile e disponibile. Era uno degli esemplari più anziani rimasti invenduti durante le aste perché non erano riusciti a domarlo né a gestirlo in maniera decorosa durante le presentazioni pubbliche. Per statuto allevatoriale i capi invenduti dopo la terza asta andavano a far carne al macello.

Come sempre nella sua vita, Francesco sentì una piccola morsa allo stomaco, si morse l’interno destro della guancia con forza e poi chiese inesorabilmente di poter vedere il cavallo muoversi in uno spazio aperto. Il responsabile dell’allevamento emise un grugnito, poi un altro, poi alzò gli occhi al cielo e cacciò un urlo. Dopo poco arrivarono tre ragazzi, con qualche pezzetto di paglia tra i capelli e le corde in mano, trafelati, due di loro si arrestarono esitando a qualche metro dal cavallo, il terzo, un po’ pallido, fece segno a Francesco di stare indietro.

Una semplice passeggiata dal capannone al pascolo...

Quando lo staccarono dall’enorme anello al muro il cavallo rimase immobile per qualche secondo, esitante, lo sguardo fisso di fronte a sé, poi d’improvviso con uno scatto girò su se stesso colpendo con la spalla uno dei ragazzi, gli altri due sul lato destro tirarono le corde e riuscirono a fermarlo subito. Il tragitto attraverso il capannone fu surreale, i tre ragazzi sventolavano come bandierine, sembravano dei bambini attaccati ad un enorme aquilone in una tempesta, la paglia svolazzava tutta intorno.

Il percorso per arrivare agli enormi prati adibiti a pascolo parve a Francesco molto lungo, ma forse lo sembrò maggiormente ai tre accompagnatori che, appena liberato il cavallo, si accasciarono sul prato madidi di sudore nonostante la temperatura glaciale. Finalmente in uno spazio aperto il cavallo iniziò subito a correre lungo tutto il perimetro della recinzione, sfogando le energie accumulate, poi parve cambiare atteggiamento cominciando a dar sfoggio di tutto ciò di cui era capace, volava in un trotto disteso avanti e indietro, si sospendeva dal suolo per diversi secondi, esibiva la sua rabbia come un trofeo fendendo l’aria con colpi decisi.

Ricevemmo il video sul cellulare pochi minuti dopo la telefonata di Francesco, mentre stavo ancora esibendomi in una serie molto lunga di insulti sulla solita imprudenza: restammo totalmente rapite. Come disse tempo dopo il nostro veterinario: quel cavallo era una forza della natura.

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Portare Elvis con noi, non sarà un grande ostacolo.

Il vero problema fu trovare qualcuno disposto a trasportarlo. Dopo che il cavallo ruppe la clavicola con una rampata al primo trasportatore mentre cercava invano di convincerlo a salire sulla rampa del camion, la voce si sparse e nessuno voleva correre il rischio di farsi male per il capriccio di un gruppetto di italiani megalomani. Francesco fece molte telefonate, la risposta era sempre la stessa, poi, dopo diversi giorni, trovammo un losco personaggio che si lasciò convincere con una lunga trattativa. Il viaggio venne a costare tre volte il cavallo.

“È arrivato!” La voce di Francesco dall’altra parte del telefono tradiva quel maledetto entusiasmo che ci contagia ogni volta che ci imbarchiamo in una delle nostre imprese deliranti. Quando arrivai in scuderia la mia delusione fu enorme, il cavallo era rachitico, storto, con una corda stretta intorno alla testa che lo stringeva sotto la ganascia e che gli aveva aperto la pelle in più punti. Lo sguardo era allarmato, pieno di panico, nemmeno l’ombra di quella bestia fiera e sprezzante che mi ero immaginata guardandolo in video.

Aprendo la porta del box il cavallo si schiacciò contro la parete, aderendo con tutto il corpo alle assi di legno e soffiando con le narici dilatate come se avesse visto un mostro. Ogni centimetro della sua pelle vibrava, potevo vedere la cassa toracica con le costole in bella vista per la magrezza, sussultare velocemente e la vena sul collo gonfia per il battito accelerato. Mi fissava con gli occhi enormi, non si stava facendo alcuna domanda sulle mie intenzioni, non era interessato a nessun tipo di dialogo, era semplicemente una preda senza via di fuga. Impiegai quasi due ore per riuscire a toccarlo e successivamente togliergli la corda intorno alla testa.

Fu un pomeriggio estenuante fatto di piccoli avanti e indietro, di attese, di suoi scatti improvvisi, di tentativi di avvicinarsi e ripensamenti, nemmeno una volta tentò di essere aggressivo nei miei confronti. Uscii da quel box sfinita, perplessa, chiamai Francesco: “Pensavo di trovarmi di fronte un leone e invece devo capire come avvicinarmi ad una lepre.” Lui non rispose.

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Nuova casa, nuovi traguardi, nuova vita...ma la strada è stata dura!

Nei giorni successivi compresi un fatto fondamentale. Elvis non temeva nulla del mondo, si trattava di uno stallone coraggioso, curioso di ciò che lo circondava e per nulla incline a scatti di paura improvvisi. C’era un’unica eccezione: l’uomo. Esisteva nella sua testa un elenco preciso di azioni identificate e quindi ammissibili nelle sue vicinanze. Al di fuori della sua lista finemente stilata, scoppiava il panico.

Fu bravissimo nel farsi mettere la sella la prima volta, l’oggetto in sé non lo intimoriva e superato il fastidio iniziale di sentirsi un inevitabile zainetto in spalla, affrontò l’esperienza quasi con indifferenza. Molto diverso fu quando sopra lo zainetto vide spuntare Gaia, tutta rosa, con caschetto e mani prensili, decisamente e senza ombra di dubbio un essere umano. Mentre facevo sci nautico con i talloni ben piantati nella sabbia, il peso indietro, le braccia tese e il mio motoscafo scannava a destra e sinistra sbandando con Gaia appesa alla staffa, sventolante, pensai che forse sarebbe stato meglio perdere quello slancio malato all’eroismo in età puberale, come succede quasi a tutti. Fu un pensiero fugace, passò subito, scrollato via come la sabbia dalle chiappe di Gaia, mentre ci guardavamo in silenzio, cercando di capire quale sarebbe stata la prossima mossa. Elvis ci osservava dubbioso, Francesco dalla tribuna anche.

Il seguito, come spesso accade, lo ricordo poco. Abbiamo sempre buona memoria degli avvenimenti rocamboleschi, dei disastri, delle assurdità, ma fatichiamo a mantenere vivido nella memoria il prezioso, impercettibile momento in cui tutto si è risolto per il meglio. Forse perché non è un unico esatto momento, forse perché tu marci a testa bassa giorno dopo giorno, tenti, avanzi, balzi indietro, e poi d’improvviso la alzi la testa e resti lì sconcertato. Ho nella testa questa immagine di Francesco in piedi in mezzo al campo, la sigaretta in mano, l’aria corrucciata: “ E stupendo, ma non ho idea di come sia successo”. Sembra una di quelle spiegazioni del cazzo, che vuol buttarla sul filosofico andante, che vuole bearsi del segreto di un lavoro tenuto oscuro o che peggio, inventa successi basati su favolette commoventi. Però non è così. Io ho sempre avuto il terrore di non aver chiari in mente i passaggi che mi hanno portato ad un determinato risultato, pensavo, come posso replicare qualcosa di buono se non ho tutto ben delineato in testa nella giusta successione? Francesco risponde sempre che se l’hai fatto una volta e l’hai fatto bene, ritroverai la strada, naturalmente.

Con Elvis fu così, trascorremmo molte ore, a turno, a rimpolpare la sua lista di situazioni accettate, mettendo delle belle V, una dopo l’altra, con pignoleria, finché l’elenco nelle sue tasche fu abbastanza ricco da permettergli di mimetizzarsi in mezzo agli altri, di vivere una vita che non mettesse in pericolo chi gli stava intorno. Un suo personalissimo manuale di sopravvivenza in questo mondo imprevedibile.

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La favola di Elvis

Elvis e la sua storia • Fedda •

Martina è arrivata un anno più tardi. Una bambina con due occhi seri, enormi e una nonna testarda che mi disse: “Voglio che mia nipote impari ad ascoltare i cavalli”.

Chi conosceva Elvis ci disse che avvicinare una ragazzina a un cavallo così difficile era un’imprudenza, che ci voleva un soggetto mansueto per insegnarle a montare prima di metterla alla prova con un recupero da macello, che era una follia. Ed io lo sapevo bene, ma avevo il bisogno egoistico di un lieto fine di quelli veri; volevo la favola per Elvis. E lui l’ha avuta, mai una volta si è permesso una scorrettezza nei confronti di colei che fin dal primo istante, con assoluta sincerità, l’ha guardato come se fosse una meraviglia del creato. Oggi capita che qualcuno, vedendo Elvis e Martina insieme, si fermi a guardarli trottare e mi dica: “Wow! Che cavallo è?” Io rispondo sempre: “Un cavallo fortunato”.

A cura di Giulia Barberis, per Fedda.

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